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  • Immagine del redattoreAndrea Pellegrino

Giorgio de Chirico e l'enigma della metafisica

GIORGIO DE CHIRICO E L’ENIGMA DELLA METAFISICA

Suggestioni massoniche e simbologia iniziatica nell’opera dell’artista

Era il 1917 quando il ferrarese Giorgio de Chirico diete vita ad un nuovo viaggio di esplorazione artistica. Si trattava della pittura metafisica un particolare corrente che, in un periodo nel quale le avanguardie artistiche erano votate a disgregare l’immagine esteriore, aveva lo scopo di tornare all’ordine. Questo doveva accadere senza però doversi rifugiare nella tecnica meramente accademica. Un approccio molto sottile alla pittura, attraverso la quale si doveva raggiungere lo scopo di indagare le complesse relazioni tra le cose, cogliendo gli aspetti più nascosti della realtà. La mente di de Chirico, nutrita da presocratici e dal pensiero di Nietzsche, respingeva ogni sollecitazione che non fosse quella della vita segreta delle cose. L’influenza filosofica, in particolar modo la teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche aiutò de Chirico a vedere l’arte come una sorta di confronto ininterrotto tra persone appartenenti a epoche diverse ma che, attraverso la pittura, dialogano in un eterno presente. Proprio per questo motivo iniziò a eseguire dipinti che si presentavano come vere e proprie rielaborazioni di grandi opere del passato per poi passare a rielaborazioni di opere da egli stesso create. Una vera e propria ossessione la sua nei confronti dell’eterno ritorno del sempre uguale. A un occhio critico, l’ambizione di un’arte come questa trascende l’obiettivo generale della pittura. Essa presuppone il ricorso all’intuizione totale dei simboli che il mondo inanimato nasconde. Dal sensoriale, che soggiaceva anche ai procedimenti analitici - dal posto impressionismo al cubismo – si passa con de Chirico all’emblematico puro. Il soggetto che meglio si prestava a questa concezione, secondo l’artista, era il manichino. Un uomo senza volto che rimandava all’idea platonica di un’umanità disgregata, spaesata, fuori dal suo naturale contesto. Questi “manichini metafisici” , nelle opere di de Chirico, spesso trovano collocazione in ampie piazze deserte o nelle quali si scorgono edifici classicheggianti con dei riferimenti rinascimentali. Le ombre create dai manichini spesso sono le vere protagoniste dei quadri. Ombre irreali, che si proiettano in maniera innaturale su tutta la scena.

Il rapporto tra la metafisica di de Chirico e l’esoterismo è evidente sin dalle prime opere dell’artista, realizzate a Monaco e in Francia. Probabilmente, in questi primi anni di attività, l’artista venne a contatto con diversi circoli esoterici che in quel periodo erano frequentati da personalità importanti del calibro di Duchamp e Breton. È importante contestualizzare l’interesse dell’èlit intellettuale verso l’esoterismo che in quegli anni giocava un ruolo importante nella cultura. Erano infatti il momento in cui le tesi di Madame Blavatsky, Rudolf Steiner, Oswald Wirth erano all’apice del loro successo. I testi di questi occultisti circolavano negli ambienti intellettuali dei tempi, suscitando non poco interesse. Anche Roma ebbe sicuramente un’influenza importante sugli studi di de Chirico riguardanti l’occultismo. L’artista vi si trasferì infatti negli anni venti. Un metafisico come de Chirico di certo non potette rimanere indifferente alle enigmatiche suggestioni che il fervido panorama esoterico offriva in quel periodo storico.

Se osserviamo le opere di de Chirico con mente aperta, con l’attenzione rivolta a scoprire i messaggi profondi e le suggestioni che difficilmente sono esplicate nei libri scolastici di storia dell’arte, possiamo scoprire come attraverso la metafisica sia possibile immergersi in un mondo misterioso che molto deve alla tradizione magico alchemica della quale si può considerare un discente. Di seguito troviamo alcuni dei simboli che compaio spesso nelle opere pittoriche di de Chirico e che hanno velati riferimenti al mondo dell’esoterismo.

IL SOLE NERO

Giorgio de Chirico. Sole su cavalletto 1974

Il sole nero è un noto simbolo alchemico che si usava nei manoscritti per descrivere la Nigredo, ovvero l’opera al Nero, una delle cinque fasi essenziali per la realizzazione della pietra filosofale (la Grande Opera). In questa fase gli elementi venivano lasciati in putrefazione nell’ampolla. Questo era necessario alle fasi successive. Il simbolismo è chiaro: la morte non è vista come una fine ma come un passaggio necessario verso la rinascita e la purificazione. La Nigredo rappresenta il Caos primordiale dal quale nasce ogni cosa. Il nero è anche il colore di Saturno, dio dell’implacabile scorrere del tempo onorato a Roma nei Saturnali, la festa di fine anno che coincideva con la morte e la rinascita del sole. Psicologicamente parlando, questa fase simboleggia la morte dell’Io, di tutti i desideri impuri e delle basse pulsioni. Nel Libro dei Morti dell’antico Egitto, il Sole nero rappresentava la controparte della luce, il suo doppio negativo che illuminava il mondo dell’oltretomba.


La tela fa parte della serie “Soli spenti”, un tema sviluppato da de Chirico per la prima volta nel 1930. Su un palcoscenico teatrale un grande sole giallo è poggiato su un cavalletto. Sullo sfondo si staglia un paesaggio con dei resti classicheggianti. Il luminoso sole è collegato da un filo a un sole nero che sta per tramontare, lasciando spazio alla luna. Il messaggio che de Chirico vuole trasmettere attraverso questa opera è il dualismo, tipico del pensiero di Nietzsche: da una parte la realtà apollinea ordinata, luminosa e razionale e dall’altra quella Dionisiaca oscura, nascosta, caotica e irrazionale. I due soli sono collegati tra di loro a voler significare la coesistenza delle due realtà. L’ordine per esistere ha bisogno del caos così come il Risveglio deve passare attraverso la fase di Nigredo (sole nero).


LA SCACCHIERA E IL SUO SIGNIFICATO MASSONICO


La scacchiera è uno dei simboli cardine dell’iconografia massonica. Rappresenta i due opposti, la dualità che permette l’equilibro e l’eterno fluire delle cose. Bene e male, notte e giorno, maschile e femminile, divino e terreno. Tutto si basa sulla coppia tra due opposti. In realtà il pavimento a scacchiera bianco e nero fu presente nei templi fin dall’antico Egitto. Non era quindi soltanto un elemento decorativo, ma arrecava in sé profondi significati. De Chirico in più opere sceglie di inserire questo dettaglio presente in tutte le logge della libera muratoria come trasposizione simbolica della condizione umana. Attraverso la sua metafisica l’artista ha così il pretesto di inserire questo dettaglio come riflessione sulla continua polarità tra bene e male nella quale l’uomo è in costante contesa.



IL TEMPIO


Tempio massonico con pavimento a scacchiera

Giorgio De Chirico – Tempio della foresta nella camera (1928)
















Un altro elemento che ricorre spesso nelle opere di de Chirico è il tempio che, ancora una volta, ricorda quello massonico, sorretto da due colonne che richiamano il loggiato del Tempio di Salomone. Esse non hanno la funzione di sorreggere ma di delimitare lo spazio del profano separandolo da quello sacro. Attraverso questo varco si accede alla dimensione dell’infinito. L’iniziato è certo di quello che sta lasciando ma non sa quello che troverà al suo interno. Un passo che desta paura e sgomento in quanto, una volta entrati nel Tempio, non si può tornare indietro. Non si può portare dentro ciò che deve stare fuori né portare fuori quello che deve stare dentro: le colonne segnano proprio questo confine e questo incontrovertibile principio iniziatico. Jakin e Boaz è il nome che biblicamente viene attribuito alle due colonne e stanno rispettivamente a destra e a sinistra. Il termine Jakin significa “Egli stabilirà” e Boaz “Nella forza”. Il significato originario può essere quindi interpretato come la stabilità che Dio dà al tempio, attraverso la sua forza.



Giorgio de Chirico – L’enigma dell’arrivo




MERCURIO


Giorgio de Chirico  - autoritratto con la testa di Mercurio. 1928

Divinità sacra agli occultisti e agli esoteristi, il dio Hermes (per i latini Mercurio) è il signore della sapienza magica e del verbo. Assimilabile al dio egizio Thot, egli è una dio Psicopompo, ovvero accompagnatore delle anime dei morti. Si credeva infatti che Mercurio aiutasse i trapassati a trovare la via per il mondo sotterraneo dell’aldilà. Nell’arte di de Chirico la grecità trova terreno fertile e l’artista coltiva volentieri gli antichi miti in molte delle sue opere. Con i piedi alati e l’elmetto, giovane e con il corpo ancora acerbo da adolescente, Mercurio è quel dio di cui parla Eraclito, che “non dice ma accenna” e porta il dito alla bocca, nel segno del silenzio iniziatico dei pitagorici.

Nell’autoritratto del 1928 de Chirico decide di raffigurarsi insieme al dio, quasi a volerne rappresentare una identificazione.



Secondo il maestro de Chirico per metafisica si intende la capacità di andare oltre le cose fisiche. Semplicemente osservando degli oggetti inanimati possono apparire forme e suggestioni percepibili dalla sensibilità di chi sa vedere il mondo con occhi diversi. L’oggetto diventa così un soggetto, decontestualizzato e inserito in ambienti che nulla hanno a che fare con la sua natura e funzione. Questi oggetti metafisici hanno sempre aspetti geometrici ben definiti: rettangoli, cerchi, triangoli che compaiono in silenziosi sfondi ove spesso si intravedono rovine di templi classici. I meccanismi illogici che legano busti di statuaria classica a oggetti di uso comune sono il prodotto delle fantasie e delle inquietudini del pittore. Spetta a noi il compito di immergerci in quel silenzioso mondo, tanto visionario da risultarne quasi impossibile la totale comprensione.


Andrea Pellegrino

Articolo pubblicato su Mistero Magazine di Febbraio 2018

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